Spesso si sente dire che gli investimenti nelle energie rinnovabili comportano un aumento significativo delle spese in conto capitale, secondo le valutazioni delle agenzie internazionali. Tuttavia, il Rocky Mountain Institute (RMI) sostiene che la realtà è diversa da questa percezione comune.
Molti esperti del settore energetico ritengono che la transizione verso impianti alimentati da fonti rinnovabili implichi un notevole aumento delle spese di capitale (Capex). Addirittura, alcuni sostenitori dell’energia nucleare credono che puntare sulle rinnovabili possa comportare costi eccessivi per l’intero sistema energetico, portando a suggerire un ritorno agli investimenti nell’energia atomica. Tuttavia, il Rocky Mountain Institute, un influente centro di ricerca guidato da Amory Lovins, ha pubblicato un breve rapporto intitolato “The Great Reallocation” che dimostra che finanziare la transizione energetica è più una riallocazione di capitali che un aumento esponenziale di spese.
L’istituto contesta le valutazioni delle agenzie internazionali, come l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA). Queste ritengono necessario un significativo incremento della spesa per costruire un sistema energetico incentrato sulle fonti rinnovabili. Secondo l’analisi del RMI, guardare solo a un settore specifico non è corretto; è invece essenziale valutare l’andamento delle spese per l’approvvigionamento energetico nel suo complesso.
Source: IEA WEI 2016, WEI 2023, RMI adjustments
Il report evidenzia che, con la diminuzione delle spese in conto capitale per le fonti fossili, la crescita netta delle spese di capitale fino al 2030 sarà solo del 2% annuo, in linea con gli ultimi sette anni e molto inferiore a quella del decennio successivo al 2000. Nel 2023, gli investimenti in rinnovabili e quelli nelle fonti fossili sono stati simili, entrambi intorno a 1.100 miliardi di dollari. Nel prossimo decennio, secondo gli scenari IEA, gli investimenti in conto capitale per le rinnovabili raddoppieranno, mentre quelli per i combustibili fossili si ridurranno della metà.
Ma perché questa “deviazione” dei capitali è davvero possibile?
Secondo le previsioni delle agenzie energetiche, al 2030 le spese di capitale per le rinnovabili raggiungeranno i 1.800 miliardi di dollari all’anno, mentre quelle per le fonti fossili saranno di circa 700 miliardi di dollari. Complessivamente, gli investimenti energetici nel 2030 saranno stimati intorno a 2,5 trilioni di dollari. Questo richiederà una crescita annua del 2% rispetto al 2023, una crescita del PIL globale del 3%, comunque inferiore alle previsioni, e un aumento annuo degli investimenti energetici del 9% rispetto al periodo 2000-2010.
Il report prevede che la maggior parte della crescita negli investimenti nelle rinnovabili avverrà nel prossimo decennio, stabilizzandosi poi negli anni ’30. Tuttavia, affinché ciò accada, sarà necessario un impegno significativo per garantire che i fondi per le spese di capitale si spostino dalla produzione alle reti e dai mercati sviluppati a quelli emergenti. Secondo il RMI, i principali ostacoli a questo cambiamento sono la politica e le competenze, non tanto il volume o la disponibilità di capitale. Inoltre, il report sottolinea che dietro questa reallocazione di risorse si celano importanti vantaggi ambientali e geopolitici.
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